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S. AGATA Vergine e Martire

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S. AGATA Vergine e Martire  Empty S. AGATA Vergine e Martire

Messaggio Da Gianluca Lo Cicero Gio Mag 02, 2013 4:49 pm

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S.AGATA
Sant' Agata (Catania, 240 circa – Catania, 5 febbraio 261) nacque in una famiglia catanese ricca e nobile, nell'anno 246 durante il proconsolato di Quinziano. Dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa viene venerata come santa, vergine e martire. Il suo nome compare nel Martirologio da tempi antichissimi; è tra l'altro patrona di Catania, di San Marino e di Malta, nonché protrettrice dei fonditori di campane, dei vigili del fuoco (argentina) delle donne affette da patologie al seno. I suoi attributi iconografici sono la palma del martirio, il giglio della verginità, le pinze o pettini con cui le furono strappate le mammelle e questi ultimi su un piatto.
Alcune tradizioni vogliono che Agata sia nata a Palermo ma i documenti narrativi del martirio di s. Agata (tra i più antichi conosciuti) in tre punti indicano che s. Agata è nata a Catania: Il primo punto è quello relativo all'inizio del processo, secondo il testo fornito dalla redazione latina. Nel vers. 1 il testo rivela che Agata fu martirizzata a Catania; nel vers. 24 dice che Quinziano interpella Agata invitandola a dire di che condizione fosse; e nel vers. 25 riferisce che Agata rispose a Quinziano dicendo: "Io non solo sono libera di nascita, ma provengo anche da nobile famiglia, come lo attesta tutta la mia parentela": con queste parole Agata dichiara che tutta la sua parentela era presente e residente a Catania e quindi dà ad intendere che anch'essa era residente a Catania e vi era residente sin dal giorno della sua nascita. Il secondo punto è quello relativo all'apparizione dell'Angelo che, nel momento in cui il cadavere di s. Agata viene seppellito, depone dentro il suo sepolcro una lapide di marmo in cui era scolpito il seguente acronimo MSSHDEPL cioè MENTE SANCTA SPONTANEAM HONOMEM DEO ET PATRIE LIBERATIONEM quindi Agata era "anima santa, onore di Dio e liberazione della sua Patria": a tale proposito i versetti 102-104 rilevano che, per dimostrare la verità di quanto espresso in quella lapide e cioè che Agata era la liberazione della sua Patria, Dio, ad un anno appena dalla morte di s. Agata, fa arrestare la lava dell'Etna, che stava invadendo Catania. II terzo punto è quello relativo al fatto che il testo della redazione greca, riportato nel manoscritto del Senato di Messina, espressamente recita che "Catania è la patria della magnanima s. Agata" : tale testo è di assoluto valore storico perché risale all'epoca in cui in Catania ancora non era stato eretto alcun tempio a s. Agata .
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Secondo la tradizione cattolica sant'Agata si consacrò a Dio all'età di 15 anni circa, ma studi storico-giuridici approfonditi rivelano un'età non inferiore ai 21 anni: non prima di questa età, infatti, una ragazza poteva essere consacrata diaconessa come effettivamente era Agata, cosa documentata dalla tradizione orale catanese, dai documenti scritti narranti il suo martirio e dalle raffigurazioni iconografiche ravennate, con particolare riferimento alla tunica bianca e al pallio rosso; possiamo quindi a ragione immaginarla, più che come una ragazzina, piuttosto come una donna con ruolo attivo nella sua comunità cristiana: una diaconessa aveva infatti il compito, fra gli altri, di istruire i nuovi adepti alla fede cristiana (catechesi) e preparare i più giovani al battesimo alla prima comunione e alla cresima.
Inoltre, da un punto di vista giuridico, Agata aveva il titolo di "proprietaria di poderi", cioè di beni immobili. Per avere questo titolo le leggi vigenti nell'impero romano pretendevano il raggiungimento del ventunesimo anno di età. Rimanendo sempre in tema giuridico, durante il processo cui Agata fu sottoposta, fu messa in atto la Lex Laetoria, una legge che proteggeva i giovani d'età compresa tra i 20 e i 25 anni, soprattutto giovani donne, dando a chiunque la possibilità di contrapporre una actio polularis contro gli abusi di potere commessi dall'inquisitore: prova ne sia che il processo di Agata si chiuse con un'insurrezione popolare contro Quinziano, che dovette fuggire per sottrarsi al linciaggio della folla catanese.
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Nel periodo fra il 250 e il 251 il proconsole Quinziano, giunto alla sede di Catania anche con l'intento di far rispettare l'editto dell'imperatore Decio, che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, s'invaghì della giovinetta e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza successo, di ripudiare la sua fede e di adorare gli dei pagani. Ma più realisticamente si può immaginare un quadro più complesso: ovvero, dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia, potrebbe esserci l'intento della confisca di tutti i loro beni.
Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole la affidò per un mese alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle sue figlie, persone molto corrotte. È probabile che Afrodisia fosse una sacerdotessa di Venere o di Cerere, e pertanto dedita alla prostituzione sacra. Il fine di tale affidamento era la corruzione morale di Agata, attraverso una continua pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce, per sottometterla alle voglie di Quinziano, arrivando a tentare di trascinare la giovane catanese nei ritrovi dionisiaci e relative orge, allora molto diffuse a Catania. Ma Agata, in quei giorni, a questi attacchi perversi che le venivano sferrati, contrappose l'assoluta fede in Dio; e pertanto uscì da quella lotta vittoriosa e sicuramente più forte di prima, tanto da scoraggiare le sue stesse tentatrici, le quali rinunciarono all'impegno assuntosi, riconsegnando Agata a Quinziano.
Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i princìpi Quinziano diede avvio ad un processo e convocò Agata al palazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui si evince senza dubbio come Agata fosse edotta in dialettica e retorica.
Breve fu il passaggio dal processo al carcere e alle violenze con l'intento di piegare la giovinetta. Inizialmente venne fustigata e sottoposta al violento strappo delle mammelle, mediante delle tenaglie. La tradizione indica che nella notte venne visitata da san Pietro che la rassicurò e ne risanò le ferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente all'ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua cella.
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LE RELIQUIE
Le reliquie della santa furono trafugate e portate a Costantinopoli nel 1040 dal generale bizantino Giorgio Maniace. La città di Catania dovette aspettare più di un secolo per riottenerle quando nel 1126 due soldati dell'esercito bizantino, di nome Gilberto e Goselmo, le rapirono per riconsegnarle al vescovo di Catania Maurizio.
La notte del 17 agosto 1126, le reliquie rientrarono nel duomo di Catania (a ricordo di questa notte è uso durante la festa indossare un “sacco” ossia un saio bianco che la leggenda popolare vuole sia legato al fatto che, i cittadini catanesi, svegliati in piena notte dal suono delle campane al rientro delle reliquie in città, si riversarono nelle strade in camicia da notte) .
Le reliquie sono oggi conservati in parte (parte del cranio, del torace e alcuni organi interni) all'interno del prezioso busto in argento, unica opera d’arte rimasta da Giovanni Di Bartolo datata 1376 e in parte dentro a reliquiari posti in un grande scrigno, anch'esso d'argento (braccia e mani, femori, gambe e piedi, la mammella e il velo).
Altre reliquie della santa, come ad esempio piccoli frammenti di velo e singole ossa, sono custodite in chiese e monasteri di varie città italiane e estere.
Fra tutte le città italiane di cui sant'Agata è compatrona, Gallipoli e Galatina, in Puglia, sono coinvolte in una singolare contesa che vede come protagonista una reliquia di sant'Agata, la mammella.
Una leggenda diffusa in Puglia spiegherebbe con un miracolo la presenza della reliquia a Gallipoli. Si dice che l'8 agosto del 1126 sant'Agata apparve in sogno a una donna che si era addormentata dopo aver lavato i panni nella spiaggia della Purità a Gallipoli e avvertì che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra: era la mammella della Santa. La donna si svegliò e ne ebbe conferma, ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca. Tentò a lungo: poi, in preda alla disperazione, si rivolse al vescovo,che celermente giunse nella spiaggia insieme ad altri ecclesiastici.Il prelato recitò una litania invocando tutti i santi, e soltanto quando pronunciò il nome di Agata il bimbo aprì la bocca. Da essa venne fuori una mammella, evidentemente quella di sant'Agata. La reliquia rimase a Gallipoli, nella Basilica Concattedrale di Sant'Agata, dal 1126 al 1389, quando il principe Del Balzo Orsini la trasferì a Galatina, dove fece costruire la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto, nella quale è ancora oggi custodita la reliquia presso un convento di frati francescani.
Il velo di sant'Agata è una reliquia conservata nella cattedrale di Catania in uno scrigno d'argento insieme ad altre reliquie della santa. Secondo una leggenda è un velo usato da una donna per coprire la Santa durante il martirio con i carboni ardenti. Nei fatti il cosiddetto "velo" di colore rosso faceva parte del vestimento con cui Agata si presentò al giudizio, essendo questo, indossato su una tunica bianca, l'abito delle diaconesse consacrate a Dio. Secondo un'altra leggenda il velo era bianco e diventò rosso al contatto col fuoco della brace.
Nel corso dei secoli, venne più volte portato in processione come estremo rimedio per fermare la lava dell'Etna.
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CURIOSITA’

NOPAQUIE
Il 25 luglio 1127 i Mori presero d'assedio le coste siciliane. Dove approdavano erano stragi, massacri e rapine. Quando stavano per assalire la costa catanese, gli abitanti della città ricorsero all'intercessione di sant'Agata e, secondo la leggenda, la grazia non tardò: Catania fu risparmiata da quel flagello.
Nel 1231 Federico II di Svevia era giunto in Sicilia per assoggettarla. Molte città si ammutinarono e Catania fu tra queste. Federico II furente ne ordinò la distruzione, ma i catanesi ottennero che, prima dell'esecuzione di quello sterminio, in cattedrale venisse celebrata l'ultima messa, alla quale presenziò lo stesso Federico II. Fu durante quella funzione che il re svevo, sulle pagine del suo breviario, vide comparire miracolosamente un acronimo NOPAQUIE chiedendone spiegazione gli fu comunicata la spiegazione che gli suonò come un pericoloso avvertimento “Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est” ovvero “Non offendere la patria di Agata perché essa vendica le offese ricevute”.
Immediatamente abbandonò il progetto di distruzione, revocò l'editto e si accontentò soltanto che il popolo passasse sotto due spade incrociate, pendenti da un arco eretto in mezzo alla città. A Federico bastò un atto di sottomissione e lasciò incolumi i cittadini e Catania, salvata per l'intercessione della Madonna delle Grazie e di sant'Agata.
La città ricorda questo evento con un bassorilievo di marmo che si trova oggi all'ingresso del Palazzo comunale e raffigura Agata, seduta su un trono come una vera regina, che calpesta il volto barbuto di Federico II di Svevia..
LA CORONA
A coronamento del prezioso busto reliquiario che contiene il teschio di S.Agata vi è posta una corona donata dal re inglese Riccardo Cuor di Leone di passaggio a Catania di ritorno da una Crociata.
SANTA LUCIA
La santa, Lucia di Siracusa, quasi coetanea di sant'Agata, andò con la madre gravemente ammalata a pregare sulla tomba di Agata per implorarne la guarigione. Narra la leggenda che Lucia, mentre pregava, ebbe una visione nella quale sant'Agata le disse «perché sei venuta qui quando ciò che mi chiedi puoi farlo anche tu? Così come Catania è protetta da me, la tua Siracusa lo sarà da te.» La madre di Lucia guarì e Lucia dopo poco venne martirizzata.

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